Start-up culturali

La questione della tutela e della valorizzazione del patrimonio artistico e culturale è da sempre oggetto di vivace dibattito in Italia. Negli ultimi anni, complice anche la crisi economica, i finanziamenti pubblici destinati alla conservazione, gestione e valorizzazione del patrimonio artistico e culturale sono drasticamente diminuiti. Così, sempre più spesso si assiste a partnership strategiche “pubblico-privato”, in cui grandi imprese finanziano progetti di restauro su monumenti o si fanno promotori di iniziative di cospicuo valore.

La proposta di legge n. 2950, approvata alla Camera il 26 settembre scorso, introduce nel dibattito politico italiano, la figura della start-up culturale. In Italia, il fenomeno delle industrie culturali è piuttosto diffuso, ma sconta l’assenza di una normativa di settore che ne assicuri la riconoscibilità e ne regoli l’ambito di operatività. In tal senso, la proposta di legge definisce start-up culturali le start-up innovative di cui all’art. 25 del decreto-legge n. 179 del 2012. Sotto il profilo giuridico quindi, la start-up culturale è ricompresa nella definizione legale di start-up innovativa, avente tuttavia come oggetto sociale esclusivo la promozione dell’offerta culturale nazionale attraverso lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico.

L’atto di iniziativa parlamentare persegue l’obiettivo di coniugare crescita economica, imprenditoria giovanile e promozione del patrimonio artistico nazionale. Le grandi novità sono pertanto rappresentate dalle misure incentivanti a sostegno dell’imprenditoria giovanile e dalla possibilità di ricorrere allo strumento del “crowdfunding” per la valorizzazione e la tutela dei beni culturali.

L’art. 2 prevede infatti, per le start-up culturali costituite per almeno l’80% da under 35, l’esenzione dall’imposta di registro, diritti erariali e tasse di concessione governativa. Le start-up che, entro un anno dalla data di costituzione, investono nell’acquisto di mezzi tecnologici e digitali, godono inoltre di un credito d’imposta pari al 65% dei costi sostenuti. Tale percentuale è aumentata al 75% se la start-up ha sede in una delle regioni obiettivo convergenza dell’Unione europea (si pensi alle imprese situate nel Mezzogiorno d’Italia).

Gli articoli 3 e 4 regolano il ricorso allo strumento del crowdfunding da parte delle start-up culturali. In particolare, l’art. 3 introduce modifiche al testo unico di cui al D.lgs n. 58 del 1998 in materia di raccolta di capitali tra il pubblico per la valorizzazione e la tutela dei beni culturali, prevedendo la creazione di portali on line, gestiti da soggetti qualificati, al fine di consentire la raccolta di capitale di rischio da parte delle start-up innovative culturali e di donazioni da parte di enti pubblici che gestiscono beni culturali.

L’art. 4 dispone infine, l’obbligo per una serie di soggetti qualificati di realizzare e pubblicare programmi di raccolta di capitali per la valorizzazione e la tutela dei beni culturali di appartenenza, e di rendere noto mediante apposite campagne di comunicazione istituzionale l’esistenza di tali programmi.