La Suprema Corte nega la rettificazione dell’atto di nascita alla figlia di una coppia omosessuale

La Suprema Corte nega la rettificazione dell’atto di nascita alla figlia di una coppia omosessuale e riafferma il ricorso all’adozione in casi particolari

Introduzione

La Corte di Cassazione, con recente pronuncia della Prima Sezione Civile del 25.02.2022, n. 6386, esprimendosi sulla rettifica dell’Atto di nascita, con specifico riferimento alla figlia di una coppia omosessuale, nata a seguito di un percorso di procreazione medicalmente assistita, eseguita all’estero – fenomeno del c.d. turismo riproduttivo – grazie ad un donatore anonimo e l’ovulo fecondato dalla partner della partoriente, ha statuito la legittimità del diniego dell’Ufficiale di stato civile alla rettificazione del certificato di nascita del minore con l’indicazione di entrambe le madri in quanto non è consentita, al di fuori dei casi previsti dalla legge, la realizzazione di forme di genitorialità̀, svincolate da rapporto biologico, con i medesimi strumenti giuridici previsti per il minore nato in costanza di matrimonio oppure riconosciuto.

Occorre preliminarmente dar conto del risalente dibattito giurisprudenziale circa la riconoscibilità e la trascrivibilità nei Registri dello Stato civile italiano degli atti stranieri, attestanti la nascita di un figlio con l’ausilio di tecniche di fecondazione artificiale - vietate in Italia, quali ad esempio la maternità surrogata -, validamente formatisi in base a normative di dubbia compatibilità con l’ordine pubblico internazionale.

Sul punto, è prevalsa una soluzione di apertura, pienamente in linea con la giurisprudenza sovranazionale, che evidenzia come la sola circostanza che il legislatore nazionale non preveda, o persino vieti, talune tecniche di fecondazione, non rende contrario all’ordine pubblico internazionale il riconoscimento e la trascrizione degli atti stranieri attestanti la nascita, dovendosi dare preminenza al principio - di rilevanza costituzionale primaria - del superiore interesse del minore.

Evoluzione normativa e giurisprudenziale

Ebbene, la Legge n. 40 del 2004, rubricata “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”, ha sollevato molteplici criticità relativamente all’estensione della sua portata applicativa in ambito soggettivo, e segnatamente, in riferimento alle coppie omossessuali intenzionate a ricorrere alle tecniche di p.m.a. per appagare il proprio desiderio di genitorialità.

La presente legge circoscrive, infatti, il ricorso alle tecniche di p.m.a. ai casi di certificata sterilità o infertilità, non altrimenti rimovibili, e alle coppie di maggiorenni di sesso diverso, coniugate o conviventi, in età potenzialmente fertile, entrambi viventi.

Risultano escluse, quali soggetti legittimati al ricorso alle tecniche di p.m.a., le coppie omosessuali.

La portata applicativa della presente legge, sia con riguardo all’ambito oggettivo sia con particolar attenzione per i soggetti legittimati, infatti, è estremamente controversa.

Si sostiene che la legge n. 40 del 2004 debba essere interpretata in senso ampliativo dei diritti delle coppie omosessuali di ricorrere alle tecniche di p.m.a., ritenendosi esistente e parimenti meritevole di riconoscimento, accanto alla genitorialità biologica, anche una genitorialità affettiva e psicologica.

Secondo altri punti di vista, invece, si considera non compatibile con l’ordinamento interno un’interpretazione estensiva dei soggetti che, a norma dell’art. 5 della legge n. 40 del 2004, possono accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita.

Le Sezioni Unite, dirimendo un precedente contrasto giurisprudenziale, hanno enunciato il dirompente principio di diritto secondo cui il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore intenzionale cittadino italiano trova ostacolo nel divieto di surrogazione di maternità di cui all’ art. 12, comma IV, della L. n. 40 del 2004.

Un siffatto divieto costituisce un principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità della gestante e l’istituto dell’adozione, valori ritenuti prevalenti sull’interesse del minore nell’ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituirsi.

A ciò aggiungasi che, in tal modo, non si esclude, peraltro, la possibilità di conferire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari ex art. 44, comma I, lett. d), della L n. 184 del 1983.

Ne consegue che, in tema di riconoscimento dell’efficacia di provvedimenti giurisdizionali stranieri, la compatibilità con l’ordine pubblico deve essere considerata alla stregua non solo dei valori fondamentali della Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui tali principi prendono forma nella disciplina ordinaria dei singoli istituti, oltre che nell’interpretazione offerta dalla giurisprudenza, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà corpo a quel diritto vivente dal quale non può prescindersi nella ricostruzione della nozione di ordine pubblico, inteso come insieme dei valori fondanti dell’ordinamento in un dato momento storico.

Le pronunce della Corte Costituzionale

La legittimità costituzionale dei limiti soggettivi e oggettivi posti al ricorso alla p.m.a. è stata oggetto - non a caso - di importanti pronunce della Corte Costituzionale. In particolare, la Consulta, con sentenza n. 211 del 2019, ha confermato che «non vi è alcuna incongruenza interna alla disciplina legislativa della materia perché l'infertilità “fisiologica” della coppia omosessuale – femminile – non è affatto omologabile all'infertilità – di tipo assoluto e irreversibile – della coppia eterosessuale affetta da patologie riproduttive: così come non lo è l'infertilità “fisiologica” della donna sola e della coppia eterosessuale in età avanzata. L’esclusione dalla procreazione medicalmente assistita delle coppie formate da due donne non è, dunque, fonte di alcuna distonia e neppure di una discriminazione basata sull'orientamento sessuale».

Neppure è riscontrabile, ad avviso del Giudice delle Leggi, la violazione dell’art. 2 Cost., posto che, sebbene la nozione di «formazione sociale» — nel cui ambito la norma costituzionale riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo — ricomprenda anche il legame omosessuale, la Costituzione non delinea un’idea di famiglia inscindibilmente correlata alla presenza di figli. Non risulta parimenti violato l’art. 31, comma II, Cost., il quale «riguarda la maternità e non l’aspirazione a diventare genitore».

Per quanto riguarda la lesione del diritto alla salute, secondo la Corte Costituzionale la presenza di patologie riproduttive è un aspetto significativo nell’ambito della coppia eterosessuale, in quanto fa venir meno la normale fertilità di tale coppia, ma rappresenta una variabile irrilevante nell’ambito della coppia omosessuale, la quale sarebbe infertile in ogni caso.

Con riguardo al contrasto con i parametri convenzionali, è stato affermato, nell’ambito della medesima pronuncia, che la stessa Corte di Strasburgo ha escluso che una legge nazionale che riservi la PMA a coppie eterosessuali sterili, assegnandole una finalità terapeutica, possa dar luogo a una disparità di trattamento, rilevante agli effetti degli artt. 8 e 14 CEDU, nei confronti delle coppie omosessuali, attesa la non equiparabilità delle rispettive situazioni. Ciò anche tenuto conto, quanto alla Convenzione di New York, che le coppie omosessuali femminili non possono essere ritenute, in quanto tali, “disabili”. Inoltre, l’art. 11 Cost. è «parametro inconferente, posto che dalle indicate convenzioni internazionali non derivano limitazioni di sovranità nei confronti dello Stato italiano (sent. nn. 162 del 2014 e 96 del 2015)».

Successivamente, con sentenza n. 33 del 9 febbraio 2021, la Consulta, pronunciatasi sulla compatibilità dei principi in materia di maternità surrogata espressi dalle Sezioni Unite n. 12193 del 2019 con la tutela dell’identità del minore e dei suoi rapporti con la coppia che ha condiviso il percorso di fecondazione assistita, diritti riconosciuti dalle norme costituzionali e unionali, nell’ottica della preminenza del c.d. best interest del figlio medesimo, stabilendo l’ inidoneità del diritto vivente, cristallizzato dalla sentenza delle Sezioni Unite soprarichiamata, a rispondere alle esigenze di riconoscimento del legame di filiazione con il genitore intenzionale nascenti dalla Costituzione e dalle fonti convenzionali e sovranazionali vigenti.

Le motivazioni della Prima Sezione della Corte di Cassazione

Tornando all’ordinanza in esame, anche la Corte di Cassazione ha ritenuto non ammissibile nell’ordinamento italiano, al di fuori dei casi esplicitamente previsti dalla legge, la realizzazione di forme di genitorialità, svincolate da un rapporto biologico, con i medesimi strumenti giuridici previsti per il minore nato nel matrimonio o riconosciuto.

Neanche l’esistenza di un legame genetico tra il nato e la persona sentimentalmente legata a colei che ha partorito, anche in qualità di donatrice dell’ovocita – nel caso sub iudice, trattasi di una donna – è stata ritenuta dalla Corte di Cassazione sufficiente per interpretare in senso estensivo le norme di legge vigenti con riguardo ai soggetti legittimati al riconoscimento del nato, in primis all’art. 250 c.c.

Il Supremo Consesso ha ricordato in ogni caso che, a fronte della inesistenza di certezze scientifiche o dati di esperienza in ordine al fatto che l’inserimento del figlio in una famiglia formata da una coppia omosessuale abbia ripercussioni negative sul piano educativo e dello sviluppo della personalità del minore, rimane costituzionalmente ammissibile il ricorso all’adozione in casi particolari, in virtù di un’interpretazione estensiva dell’art. 44, comma 1, lett. d), della L. n. 184 del 1983, in favore del partner dello stesso sesso del genitore biologico del minore - cfr. Cass. Sez. U n. 12193 del 2019-. Precisa, inoltre, la Corte di legittimità, sempre nell’ambito della pronuncia n. 6383, che è da riservarsi al legislatore una puntuale regolamentazione circa l’eventuale ampliamento del novero dei soggetti legittimati al ricorso alla p.m.a. nonché al riconoscimento del nato, non potendosi, tale estensione, realizzare in sede giudiziale.

Invero, con l’ordinanza in commento, la S.C. non ha fatto che sconfessare la propria precedente pronuncia n. 1842 del 2022 – per di più, per nulla richiamata –,e invocare quei principi di diritto delle SS.UU del 2019 che essa stessa aveva ritenuto superati in gennaio, negando, ad oggi, la sussistenza di lacune nella materia de qua, ed arrivando perfino ad affermare l’idoneità dell’istituto dell’adozione in casi particolari a tutelare il diritto del minore nato da fecondazione assistita ovvero da maternità surrogata e il legame anche con il genitore d’intenzione.

Ad ogni modo, è bene precisare che questo “ritorno al passato” potrebbe rivelarsi meramente temporaneo, essendosi profilato un “vuoto normativo”, difficilmente colmabile in via interpretativa, come sottolineato dalla stessa Suprema Corte nell’ordinanza - di poco precedente - n. 1842 del 21 gennaio 2022, con cui la Cassazione ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Osservazioni conclusive

In conclusione, l’ordinanza in esame si pone, lo si rammenta, in discontinuità con la precedente ordinanza n. 1842 del 21.01.2022 pronunciata dalla stessa Sezione.

Laddove dovesse essere rinvenuto un effettivo vuoto di tutela dei diritti del nato, sarebbe, parimenti a quanto osservato sopra, da riservarsi alla discrezionalità del legislatore un intervento ai fini di un ampliamento di tale tutela.

Ed invero, già la Corte Costituzionale, con sentenza n. 32 del 2021, ha avuto modo di sottolineare l’auspicio di «una disciplina della materia che, in maniera organica, individui le modalità più congrue di riconoscimento dei legami affettivi stabili del minore, nato da Procreazione medicalmente assistita praticata da coppie dello stesso sesso, nei confronti anche della madre intenzionale.

 

Autori: Avv. Alessandro Benedetti, Francesca Dossi