OBBLIGO VACCINALE: BILANCIAMENTO TRA DIRITTI

Il problema del personale sanitario che si rifiuta di sottoporsi al vaccino anti-Covid è venuto alla luce a seguito di una serie di pronunce del Consiglio di Stato. Difatti, all’interno delle stesse pronunce, si intravede un bilanciamento tra interessi costituzionalmente garantiti, in quanto, se da una parte il lavoratore è libero di decidere come disporre del proprio corpo, dall’altra si ha un diritto di preservazione della salute pubblica. Oltretutto, bisogna aggiungere che il medico, proprio in ragione della sua funzione, ha prestato un giuramento a esercitare la sua opera con diligenza, perizia e prudenza, nonché osservando le regole deontologiche. Dunque, il compito del medico, dovrebbe essere quello di curare i malati e non aggravare in qualsivoglia modo la loro situazione di salute.

Non vaccinandosi, il personale sanitario mette altresì i pazienti in pericolo di un potenziale rischio di infezione, che potrebbe peggiorare la loro condizione fisica, nonché procurare sintomi da contagio molto più gravi proprio in virtù della situazione già precaria in cui si trovano a causa della malattia pregressa. È necessario, per risolvere la questione, fare un bilanciamento tra i due diritti stabiliti dal primo e secondo comma dell’art.32 della Costituzione, ovvero: “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”; ma anche “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. Questi interessi devono essere ponderati con ragionevolezza e buon senso, e bisogna valutare il costo e l’impatto che si ha dalla prevalenza di uno sull’altro.

L’articolo in analisi si basa su risvolti positivi e negativi del diritto alla salute quali in ambito positivo il diritto a ricevere cure, mentre in ambito negativo il diritto di non sottoporsi a un trattamento, anche salvavita, a meno che non vi sia un obbligo imposto dalla legge. Specialmente questo ultimo precetto è importante per lo studio della questione. Il diritto all’autodeterminazione terapeutica si sostanzia in un diritto di scelta che spetta a ognuno circa il sottoporsi o meno a trattamenti sanitari che siano obbligatori e non, con rispetto delle convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche che determinano le decisioni di ognuno. Il secondo comma dell’articolo stabilisce dunque la non obbligatorietà dei trattamenti sanitari se non per disposizione di legge, dando così rilevanza costituzionale al rifiuto di cure. La sentenza n.2847/2010 della Suprema Corte da un’ulteriore conferma dell’importanza del diritto all’autodeterminazione come mezzo per il perseguimento dei migliori interessi del singolo, che possono consistere nella scelta di una determinata terapia, come nel suo rifiuto o nella sua interruzione. Si ha invece in contrapposizione a questo un diritto sia individuale che, nel caso in questione, collettivo alla salute, il quale non può essere messo a rischio da scelte del singolo lavoratore.

Il Consiglio di Stato stabilisce sin da subito con la sentenza n.7045 del 20 ottobre 2021 la legittimità dell’obbligo vaccinale contro il Covid per il personale medico, respingendo un ricorso di alcuni operatori sanitari in Friuli-Venezia Giulia. Il provvedimento oggetto di appello disponeva la sospensione dell’attività lavorativa resa dal sanitario a contatto con i pazienti nel momento in cui l’Asl accertasse l’inosservanza dell’obbligo vaccinale, dandone comunicazione al datore di lavoro e all’Ordine professionale di appartenenza. L’appello si basava sia su un aspetto scientifico che su un aspetto giuridico. In relazione alla prima questione di carattere scientifico, si rilevavano dubbi sulla sicurezza del vaccino dovuta al breve tempo avuto a disposizione per la sua sperimentazione. Il Consiglio ha però stabilito che per la creazione del vaccino è stata utilizzata una procedura che consiste in una parziale sovrapposizione delle fasi di sperimentazione clinica e che ciò non incide in alcun modo sulla sicurezza del farmaco, diramando così la prima questione. Per quanto riguarda invece l’aspetto giuridico, il Consiglio sottolinea che ci si trova in una situazione emergenziale in cui bisogna prediligere, nel fare un bilanciamento degli interessi, l’utilizzo di terapie in quanto “il potenziale rischio di un evento avverso per un singolo individuo, con l’utilizzo di quel farmaco, è di gran lunga inferiore del reale nocumento per una intera società, senza l’utilizzo di quel farmaco”. I benefici difatti provenienti dal vaccino riguardano sicuramente la tutela della salute pubblica, che vista nel senso di collettività si rifà anche a quel principio di solidarietà che è alla base di un paese democratico. Il Consiglio di Stato si è dunque dimostrato in linea con quanto precedentemente sostenuto in giurisprudenza, sottolineando il valore dell’art.32 e del bilanciamento tra primo e secondo comma, in quanto si prevede una riserva di legge per cui il diritto di autodeterminazione terapeutica del sanitario viene meno in presenza di un obbligo vaccinale.

Il Consiglio di Stato interviene nuovamente il 2 dicembre 2021 con il decreto n.6401 e il 4 febbraio 2022 con l’ordinanza n.583 per dirimere la questione. Nel primo caso il Consiglio decide sull’appello avverso il decreto monocratico cautelare adottato dal Tribunale Amministrativo Regionale per l’Abruzzo che accerta l’inottemperanza di un sanitario all’obbligo vaccinale e definisce, dunque, la sua sospensione dall’Ordine dei Medici. Il Consiglio, ha rammentato che l’appello in tale circostanza sarebbe ammissibile solo in casi del tutto eccezionali e, rifacendosi a quanto già stabilito relazione alla propensione tra i due interessi in gioco, al fine di tutelare la collettività, decide di respingere l’appello. Ribadisce che, nel caso del personale sanitario, la prevalenza del diritto alla salute pubblica assume una importanza ancora maggiore dovuta all’obbligo che esso ha di curare e dunque non aggravare la situazione del paziente. Non rilevando in questo modo le convinzioni, di dubbia provenienza scientifica, circa l’efficacia e i rischi provenienti dal vaccino.

Con l’ordinanza del 4 febbraio, il Consiglio di Stato si è trovato nuovamente a decidere sulla legittimità dell’obbligo vaccinale per i sanitari, di fatto, respingendo l’appello proposto, avvalorando quanto già stabilito con la sentenza n.7045 del 2021. Nel caso, non si sono rilevati nuovi dati in grado di modificare la decisione precedente. Il diritto all’autodeterminazione è qui sempre recessivo a quello della tutela della salute pubblica. Per quanto riguarda il provvedimento di sospensione dall’attività, non avendo questo una funzione sanzionatoria non va a pregiudicare quello che è il rapporto di lavoro e dunque non è ritenibile né discriminatorio né lesivo dei diritti fondamentali del destinatario.

In conclusione, risulta essere importante il riferimento alla sentenza n.5/2018 della Corte costituzionale, in cui si è ribadito che il vaccino, come trattamento sanitario, è diretto non solo a migliorare la salute di chi si sottopone all’iniezione, ma, è volto a tutelare anche la salute degli altri, non incidendo negativamente sullo status di salute del paziente, se non con conseguenze normali, non essendo in contrasto con i principi stabiliti all’art.32 della Costituzione.