Il franchising internazionale: opportunità di sviluppo per le imprese del retail

Uno degli strumenti giuridici di gran lunga più utilizzato dalle imprese del settore retail, allo scopo di imprimere un incremento del volume di affari ed allargare la propria quota di mercato, è sicuramente rappresentato dal contratto di franchising (o, esprimendosi secondo il dettato previsto dalla normativa italiana, affiliazione commerciale).

1. Nozione e funzione giuridico-economica del contratto di franchising

Il contratto di franchising può essere ricompreso all’interno della categoria dei contratti di distribuzione ed è certamente qualificabile quale contratto atipico, poiché esso non trova diretta disciplina normativa all’interno del Codice Civile bensì in una legge speciale, la L. 6 maggio 2004 n. 129, entrata in vigore il 25/05/2004. Quest’ultima non rappresenta l’unica fonte regolatrice della materia del franchising, infatti, nel panorama giuridico vi è una nutrita serie di disposizioni che occorre considerare nell’interpretazione di un contratto di franchising o nella soluzione di una problematica da esso derivante: si tratta di disposizioni contenute nel Codice della proprietà industriale (d.lgs. 30/2005) oppure di derivazione comunitaria come, in particolare, il Regolamento europeo in materia di accordi verticali tra imprese (Reg. UE 330/2010) e i relativi orientamenti (Orientamenti 2010/C-130/01).

La definizione giuridica di franchising si rinviene nell’art. 1 della legge n. 129 del 2004 che, appunto, qualifica tale contratto come quello che “comunque denominato, fra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la disponibilità all’altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, modelli di utilità, disegni, diritti di autore, know-how, brevetti, assistenza o consulenza tecnica e commerciale, inserendo l’affiliato in un sistema costituito da una pluralità di affiliati distribuiti sul territorio, allo scopo di commercializzare determinati beni o servizi”. Seguendo il dettato normativo, lo sforzo interpretativo induce a qualificare il contratto di franchising quale accordo di collaborazione commerciale tra due imprenditori giuridicamente ed economicamente indipendenti: da una parte il c.d. “franchisor” (detto anche affiliante o casa madre) e dall’altra il c.d. “franchisee” (detto anche affiliato ) che, mediante la stipula del contratto di franchising pongono in essere una collaborazione diretta alla commercializzazione di beni o servizi con gli stessi elementi distintivi e con le procedure sperimentate dal franchisor: il fine economico del contratto di franchising è dunque quello di implementare una rete di distribuzione con caratteri organizzativi, segni distintivi e marchi omogenei che risultino facilmente individuabili dai clienti, una rete gestita da soggetti imprenditori individuali che operano sotto la supervisione di un unico fornitore.

La disciplina dell’istituto, inoltre, prevede tre distinte tipologie di franchising:

  • franchising di produzione, nel quale l’affiliante è un’impresa di produzione di beni che li distribuisce sul mercato mediante la propria rete di affiliati;
  • franchising di distribuzione, nel quale il franchisor agisce come centrale di acquisti. Esso acquista ingenti stock di prodotto da diversi produttori, ridistribuendoli agli affiliati;
  • franchising di servizi, nel quale appunto non sussiste alcuna distribuzione di prodotto ma vi è una mera offerta di servizi da parte del franchisor nei confronti dei propri affiliati.

Da ultimo, al fine di completare succintamente l’inquadramento giuridico del franchising, risulta necessario citare e descrivere i due elementi di natura economica che caratterizzano l’istituto in esame: la fee franchising o d’ingresso e le royalties. La prima è un importo una tantum che trova la sua giustificazione nell'avviamento dell'attività di cui può usufruire l'affiliato e nelle spese sostenute dal franchisor per la sperimentazione del sistema e della formula imprenditoriale; le seconde rappresentano il corrispettivo economico, che può avere natura fissa o variabile, di solito da corrispondere mensilmente o con cadenza annuale, che l’affiliato è tenuto a versare all’affiliante per godere nel tempo della notorietà del marchio e dei servizi erogati in suo favore.

2. Le diverse modalità operative per lo sviluppo internazionale dell’attività in franchising

Le modalità mediante le quali sviluppare una rete commerciale in franchising sui mercati esteri sono essenzialmente tre: la formula c.d. “master franchising”, la formula c.d. “area development” (o multi-unit franchising) e, infine, la formula c.d. “area representative”.

2.1. La formula c.d. “master franchising”

Alla luce della funzione economica tipica del contratto di franchising, un siffatto strumento giuridico può certamente rappresentare una valida soluzione per il soggetto che decida di espandere la propria impresa oltre confine e, di conseguenza, presenziare i mercati internazionali aprendo all’estero dei propri punti vendita, avvalendosi di altri soggetti (nella fattispecie, i franchisee) che si occupino di gestire direttamente in loco l’attività commerciale attraverso una modalità distributiva in grado di valorizzare il proprio marchio e i propri prodotti, garantendo ad essi una visibilità che altre forme di penetrazione commerciale non garantiscono.

In tal caso, lo strumento giuridico d’elezione è costituito dal c.d. “master franchising”, cioè quel contratto in base al quale un soggetto (cd. affiliato principale, o “master franchisee”) acquista da un altro soggetto (il c.d. “master franchisor”), il diritto esclusivo di concludere contratti di sub-franchising con altri soggetti ubicati in un determinato territorio (cd. “sub-franchisees”), a fronte di un corrispettivo finanziario (c.d. “master fee”). Al master franchisee sono espressamente attribuiti, mediante la stipulazione del contratto, alcuni poteri di norma riservati esclusivamente al franchisor: il master franchisee può, in tal modo, sviluppare accordi di affiliazione o sub-franchisee con altri affiliati locali, appartenenti all’area geografica di sua competenza, replicando a livello locale il tipo di controllo che intercorre generalmente tra master franchisor e master franchisee. Dal punto di vista normativo, il presente istituto è previsto dalla L. 6 maggio 2004 n. 129, art. 2 il quale enuncia che “le disposizioni relative al contratto di affiliazione commerciale, come definito all’articolo 1, si applicano anche al contratto di affiliazione commerciale principale con il quale un’impresa concede all’altra, giuridicamente ed economicamente indipendente dalla prima, dietro corrispettivo, diretto o indiretto, il diritto di sfruttare un’affiliazione commerciale allo scopo di stipulare accordi di 2 affiliazione commerciale con terzi, nonché al contratto con il quale l’affiliato, in un’area di sua disponibilità, allestisce uno spazio dedicato esclusivamente allo svolgimento dell’attività commerciale di cui al comma 1 dell’articolo 1”. Dunque, sempre che le parti abbiano deciso di applicare al contratto la legge italiana, la disciplina applicabile al contratto di master franchising è la medesima disciplina che si applica al contratto di franchising così come definito all’art. 1 della medesima legge.

2.2. La formula c.d. “area development” o “multi-unit franchising”

La formula di sviluppo del franchising internazionale c.d. “area development” consiste nel concedere al franchisee il diritto di aprire e gestire più punti vendita in un determinato territorio. Nell’ambito di tale formula operativa, ruolo preminente è assunto dallo strumento che va sotto il nome di area development agreement, cioè l’accordo stipulato tra franchisor e franchisee, in base al quale quest’ultimo, che riveste il ruolo di area developer, assume su di se l’onere di aprire e gestire in via esclusiva altri punti vendita diretti, collocati in una determinata area territoriale, per un periodo di tempo definito dal contratto e secondo un determinato piano di sviluppo concordato con il franchisor.

A differenza di quanto accade nella formula master franchising, in questo caso il franchisee non ha il diritto di stipulare accordi in sub-franchising con soggetti terzi bensì gli è concessa la mera possibilità di aprire punti vendita di sua proprietà e da lui gestiti direttamente: dunque, mentre il master franchisee si pone quale alter ego del franchisor in una determinata zona geografica, assumendo tutta una serie di obblighi e compiti tipici del franchisor e riscuotendo il versamento delle fee d’entrata e delle royalties da parte dei sub-franchisee, l’area developer rimane un normale franchisee al quale viene però attribuito il diritto-dovere di aprire e gestire direttamente più punti vendita a fronte del versamento dei capitali necessari per completare l’investimento previsto nell’area development agreement.

2.2. La formula c.d. “area representative” o “direct franchising”

L’area representative è un soggetto, presente nel mercato obiettivo, al quale il franchisor affida una serie di compiti per lo sviluppo della rete quali, ad esempio, l’attività ricerca e selezione dei franchisee in una specifica zona territoriale o le negoziazioni commerciali con i potenziali affiliati. Esso opera, dunque, come intermediario del franchisor ed agisce sempre per conto di quest’ultimo, il quale resta l’unica controparte nei rapporti contrattuali con i franchisee. L’area representative, per la sua attività di intermediazione, percepisce una retribuzione che spesso coincide con una quota della entrance fee e delle royalties corrisposte dagli affiliati. I vantaggi per il franchisor che ricorre all’ausilio dell’area representative sono costituiti dal grado di controllo diretto che può continuare ad esercitare sugli affiliati e dai minori costi fissi ma, per contro, in questo modo il franchisor conserva tutte le responsabilità contrattuali previste dal rapporto di franchising con gli affiliati.

di Dott. Antonino Guarino