Il Carbon farming

IL CARBON FARMING: STRUMENTO DI TUTELA AMBIENTALE E CONCRETA OPPORTUNITÀ DI SVILUPPO PER LA FILIERA AGROALIMENTARE

Inevitabile punto di partenza dal quale iniziare l’implementazione efficace ed efficiente delle politiche volte al contrasto della crescente emergenza ambientale, all’interno della quale ruolo preminente è assunto dal climate change, è sicuramente rappresentato dal fondamentale (sia in chiave economica che ambientale, ma anche energetica) settore agricolo-forestale. Per raggiungere gli scopi prefissati dalle istituzioni, in prim’ordine sovranazionali ed europee e, in secondo luogo, nazionali, risulta però necessario dar vita a degli strumenti che assumano la veste di incentivi diretti agli operatori del citato comparto, che inducano gli stessi a procedere verso una sempre più ampia e compiuta adozione di pratiche che si pongano in maniera coerente con gli obiettivi dettati dalle indicazioni politiche: infatti, analizzando i dati forniti dall’European Environmental Agency, si rileva che oltre 385 milioni di tonnellate di CO2 emesse in Europa provengono dal settore primario, emissioni queste che rappresentano circa il 10% delle emissioni totali del continente.

La Commissione Europea, nel dicembre 2021, ha per tale motivo adottato la c.d. “Comunicazione sui Cicli Sostenibili del Carbonio”, la quale è stata inserita nella più ampia strategia di politica agricola denominata “Farm to Fork”. All’interno della citata Comunicazione, l’organo europeo, ha avuto cura di chiarire e precisare le azioni, a breve e medio termine, predisposte all’uopo per affrontare le sfide poste dai nuovi obiettivi strategici in materia ambientale e con l’intento specifico di spingere la diffusione del modello di green business basato sul carbon farming: paradigma, questo, che premia i gestori agricoli che adottano pratiche operative incentrate, appunto, sul sequestro del carbonio.

Le principali azioni enunciate all’interno della suddetta Comunicazione sono:

  • promuovere le pratiche di carbon farming nell’ambito della Politica agricola comune (PAC) e di altri programmi dell’UE come LIFE e Horizon Europe e nel contesto dei finanziamenti pubblici nazionali;
  • promuovere la standardizzazione delle metodologie di rendicontazione e verifica per fornire un quadro chiaro e affidabile per il carbon farming;
  • fornire migliori conoscenze, gestione dei dati e servizi di consulenza personalizzati ai gestori dei terreni.

 

Il carbon farming, tradotto letterlmente in “coltivazione di carbonio”, è un innovativa tecnica agricola che mira ad immagazzinare e trattenere il carbonio presente nel suolo, impedendo così il disperdersi di tale elemento nell’atmosfera: siffatta tipologia di lavorazione è però dotata di positiva efficacia ambientale esclusivamente nel caso in cui venga combinata con metodi di agricoltura rigenerativa e biologica, escludendo di conseguenza l’agricoltura di tipo intensivo e superintensivo, pratiche queste ultime tradizionalmente di ampio utilizzo nel comparto agricolo.

Dalla precedente succinta descrizione, si può intuibilmente dedurre come siffatta pratica agricola potrebbe apportare un importante contributo alla diminuzione della quantità di emissioni attraverso, appunto, l’incentivazione degli operatori agricoli a modificare le proprie tecniche lavorative in modo tale da apportare miglioramenti quali, ad esempio, l’applicazione di fertilizzanti ricchi di carbonio, la riduzione delle lavorazioni che disturbano il suolo e la piantumazione di alberi e colture in grado di assorbire l’anidride carbonica dall’atmosfera. L’Unione Europea spera di raggiungere tale ambizioso risultato mediante la concessione agli attori del settore primario degli incentivi finanziari all’uopo predisposti che, nell’ottica del decisore pubblico europeo, dovrebbero aiutare l’intero comparto a concentrare gli sforzi innovativi nell’ottica di una sempre maggiore attenzione nei confronti della sostenibilità ambientale e, di conseguenza, indurre ad aumentare la quota dei terreni agricoli predisposti all’attività di cattura  del carbonio.

Obiettivo del carbon farming è, dunque, quello di sfruttare il suolo agricolo al fine di trattenere le emissioni di carbonio prodotte dalle contigue attività che circondano i terreni, attività che possono essere di natura industriale, infrastrutturale e abitativa. Operando in tal modo l’obiettivo principale sarebbe quello di ottenere un miglioramento del clima di zona, una più accentuata fertilità dei terreni agricoli e, se le condizioni risultassero essere oltremodo propizie, la creazione di opportunità economiche e produttive per l’intera filiera agroalimentare. A mero titolo esemplificativo, infatti, si dà il caso che le imprese agroalimentari ben potrebbero instaurare rapporti di collaborazione con gli attori del settore primario implementando una strategia pubblicitaria, magari evidenziata nel packaging dei prodotti distribuiti sui canali commerciali, incentrata sulla valorizzazione dell’utilizzo di tecniche agricole ispirate al carbon farming per la produzione dei prodotti sottoposti a trasformazione industriale da parte delle suddette imprese. Altra nota positiva inerente all’utilizzo della tecnica analizzata nel presente articolo è quella per cui, anche le imprese estranee alla filiera agroalimentare, possono comunque servirsi dei benefici da questa apportati mediante l’acquisto di certificati di carbon farming, utilizzati appunto per compensare le proprie emissioni: in ultima analisi, dunque, da un lato la compensazione finanziaria azionata a favore dell’agricoltore crea quel necessario incentivo affinché si possa aumentare l’utilizzo delle tecniche di cattura del carbonio sul terreno e, dall’altro lato, la compensazione locale del carbonio crea benefici circa la reputation aziendale; l’azienda appunto se ne serve per garantire al marchio un’immagine positiva agli occhi del consumatore finale e per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità prefissati secondo le politiche aziendali.

L’obiettivo manifestato dalla Commissione Europea con la massiccia iniziativa promozionale incentrata sull’utilizzo delle tecniche di carbon farming è quello di ottenere un risparmio netto di emissioni per un totale di 42 milioni di tonnellate di CO2 in Europa entro il 2030; al fine di raggiungere tale obiettivo è però necessario implementare due ulteriori misure: in primis l’adozione di una definizione metodologica standard per il monitoraggio, la rendicontazione e la verifica, al fine di garantire una corretta certificazione e consentire lo sviluppo del mercato del carbonio e, inoltre, l’offerta di servizi di gestione dei dati e di consulenza su misura per l’intero settore primario. La strategia dell’Unione Europea per strutturare l’utilizzo delle modalità operative di carbon farming  è stata esplicitata dalla Commissione, la quale propone una prima fase connotata dall’avviamento di iniziative pilota esclusivamente con riferimento a realtà locali, anche nell’ambito degli “eco-schemi” previsti dalla Politica Agricola Comune (PAC), col fine specifico di individuare innanzitutto eventuali falle o criticità e, nel caso in cui ci sia un riscontro positivo, replicare su più ampia scala le buone pratiche utilizzate: stime della Commissione stessa evidenziano che tali schemi potrebbe rappresentare una rilevante fonte di reddito per gli agricoltori europei, in grado di aumentare il reddito per un importo potenziale ricompreso nella forbice che va dai 38 ai 58 miliardi di Euro. Gli schemi remunerativi saranno basati innanzitutto sulle certificazioni di rimozione del carbonio, cioè le certificazioni delle tonnellate di CO2 accumulate dalle singole aziende agricole grazie alle attività di carbon farming messe in atto, la cui disciplina regolatoria rimane una degli aspetti operativi più complessi per la piena implementazione del piano operativo europeo sulle politiche di carbon farming; tali certificati, infatti, dovrebbero monitorare e contabilizzare in maniera congrua e trasparente l’effettivo sequestro del carbonio nel suolo, anche se i vari fattori da monitorare sono molteplici, complessi e fra loro interconnessi: basti pensare che i potenziali di assorbimento dei diversi suoli e pratiche agricole sono ancora oggetto di ampia discussione fra gli addetti ai lavori. Servono poi delle metodologie condivise per la misura, o meglio la stima, del carbonio sequestrato, la quantità di CO2 accumulata all'interno di un terreno agricolo dipende appunto da numerosi fattori (le pratiche agronomiche adottate, il clima, l'andamento metereologico o la composizione del suolo) quindi, alla luce di queste valutazioni, il metodo che assicuri un accettabile grado di certezza per quanto riguarda la misurazione dell'anidride carbonica sequestrata è quello di procedere a numerosi campionamenti all'interno di un appezzamento agricolo, sia prima che dopo la coltivazione, anche se tale modalità di misurazione presenta sicuramente dei costi poco sostenibili e, anzi, in netto contrasto con la funzione lucrativa che si vuole attribuire ai ricavi ottenibili dalla vendita dei carbon credit;  per tale motivo l'utilizzo degli strumenti di rilevazione da remoto, come ad esempio i satelliti, e i modelli analitici sono attualmente l'unica strada percorribile per una corretta quantificazione dell’entità del sequestro di carbonio, anche se rimane comunque necessario che tutti gli operatori della filiera concordino sulle metodologie da utilizzare per la stima di tali crediti. La Commissione Europea, per ovviare alle citate criticità, ha compiuto una revisione di alcuni dei citati eco-schemi per chiarire nel migliore dei modi i loro potenziali di assorbimento e su una loro possibile integrazione con il Carbon Farming, tra quali possiamo annoverare la gestione agroforestale e la capacità di mantenimento e accrescimento del carbonio organico nei suoli.

Un ulteriore impedimento alla compiuta realizzazione di questo mercato è rappresentato dall’attuale inesistenza di un registro pubblico dei terreni che producono carbon credit, cioè quei titoli che certificano l'assorbimento di anidride carbonica, un’immediata conseguenza di tale mancanza sarebbe quella rappresentata dal rischio che ogni operatore agricolo possa vendere a più clienti lo stesso quantitativo di anidride carbonica sequestrata. Siffatta mancanza è diretta conseguenza di una qualsivoglia regolamentazione pubblica in materia e che, come tale, minaccia il compiuto sviluppo del mercato in esame, proprio perché i soggetti acquirenti i crediti di carbonio sono in balia di una assoluta incertezza circa l’effettiva possibilità di compensazione delle proprie emissioni.

Nonostante le criticità, anche di rilevante importanza, riscontrate si sta comunque assistendo ad un incremento esponenziale della domanda di decarbonizzazione, sia da parte dei governi che da parte del mondo imprenditoriale: questo aspetto prelude in maniera incontrovertibile ad un correlato innalzamento anche del prezzo dei crediti da carbonio, realtà confermata anche dagli analisti di settore. Di pari passo al crescente interesse, crescono anche le risorse economiche messe a disposizioni della causa in esame, sia da parte dei privati che da parte del decisore pubblico: basti pensare che nei soli Stati Uniti d’America l'amministrazione Biden ha varato misure importanti, come l'Inflation Reduction Act ed il Climate Smart Commodity, che allocano ingenti somme destinate allo sviluppo di tale mercato. Anche il settore tecnologico sta dando importanti contributi alla causa, allo scopo di creare l'infrastruttura necessaria per effettuare misurazioni standard ed efficienti del carbonio sequestrato, oltre che alla vendita dei crediti in un mercato stabile e riconosciuto, alla quale realizzazione risulta propedeutica la collaborazione tra tutti gli attori della filiera e la condivisione dei dati a loro disposizione.

Al fine di realizzare compiutamente la colossale opera di trasformazione del comparto agricolo, serve dunque offrire alle aziende agricole delle soluzioni efficienti e che, soprattutto, preservino la caratteristica redditiva del carbon farming: imprescindibile, a tale scopo, resta l'obiettivo di instaurare un clima di necessaria fiducia in relazione al mercato, definendo all’uopo un chiaro framework di regole e metodologie condivise, in modo che il settore possa svilupparsi senza incappare in bruschi arresti o, peggio, in un totale dissolvimento.