La disciplina del 5G nel D.d.l. “Concorrenza”

LA DISCIPLINA DEL 5G NEL D.D.L. “CONCORRENZA”: IL MANCATO AUMENTO DEL TETTO DELLE EMISSIONI ELETTROMAGNETICHE 

Da anni, in Italia, è accesa la discussione inerente all’innalzamento dei limiti elettromagnetici in modo tale da adeguarli alla media Ue.  La maggior parte degli operatori del settore, infatti, ha sollevato obiezioni e lamentele in merito alla circostanza che nel nostro Paese siano vigenti i limiti più bassi dell’intero panorama europeo; limiti che sono pari a 6 v/m, a fronte di una media continentale di 61 v/m. Purtroppo però, il decisore pubblico, nonostante i citati dati che farebbero propendere per una decisione netta al riguardo, non ha mai voluto intervenire e ha sempre procrastinato tale impegno: il nuovo Ministero delle Imprese e del Made in Italy, il Ministero della Salute ed il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, le tre istituzioni maggiormente coinvolte nella materia trattata, non sono stati in grado di trovare un accordo per sancire in maniera definitiva un aumento delle suddette emissioni.

Nella nuova bozza del D.d.l. “Concorrenza” non compare, infatti, alcun riferimento ai limiti per il 5G. A pesare, questa volta, sarebbe stato il parere negativo della Lega, contraria (soprattutto con riferimento alla sua componente locale) ad alzare gli attuali parametri. Quest’ultimo passaggio, come si accennava pocanzi, è un elemento necessario affinché si possa implementare un serio e costruttivo sviluppo per l’utilizzo del 5G che, come rilevato, viene ostacolato più dalla legislazione che dalle difficoltà orografiche. Avere pari condizioni competitive con tutta l’Europa è un tema determinante per lo sviluppo del settore tlc in Italia: bisogna risolvere la questione dell’armonizzazione dei limiti elettromagnetici che da tempo ha caratterizzato un delta significativo tra l’Italia e gli altri Paesi, è chiaro che l’attuale quadro normativo nazionale ha anche significativi impatti sulla possibilità che l’Italia sviluppi reti 5G sull’intero territorio nazionale, in grado di ottenere le prestazioni attese da tale tecnologia, entro le scadenze del 2026 dettate dai piani nazionali o comunitari entro il 2030.

Il report “Changing competitive landscape in Italy, a look at 5G networks & operator strategies”, elaborato a marzo da OpenSignal, una società di analisi indipendente specializzata nella misurazione della potenza del segnale mobile, ha mostrato un risultato alquanto deludente in merito alla posizione ricoperta dal nostro Paese nell’ambito dello sviluppo del 5G, ma viene rilevato anche che l’Italia ha un potenziale “altamente dinamico” e sembra stia lentamente recuperando il gap con gli altri Stati. La questione affrontata, inoltre, non è solo di rilevante importanza in un’ottica meramente di tipo b2b, ma anche b2c, con i consumatori che lamentano le scarse performance della loro rete. Inoltre, dal punto di vista della misurazione, l’Italia utilizza un metodo di misurazione dei limiti diverso dal resto d’Europa: il nostro Paese, infatti, misura l’inquinamento elettromagnetico sulla media delle 24 ore, mentre gli altri Paesi su una media di 15 minuti; la media sulle 24 ore dà, però, risultati più bassi. Risulta chiaro, dunque, che utilizzando un siffatto metodo di calcolo i limiti misurati in Italia non sono e non potranno mai essere soggetti ad una comparazione attendibile con i limiti calcolati in altri Paesi.

Passando all’analisi della normativa italiana in tema di tutela dei cittadini con riferimento alle emissioni elettromagnetiche, questa risulta assai più stringente rispetto alle raccomandazioni fornite dall’Unione Europea in tema di protezione della popolazione dall’esposizione ai campi elettromagnetici. Un tale atteggiamento risulta, però, essere ancorato più ad una questione squisitamente culturale che ad una seria ed efficace analisi costi-benefici. E’ utile, infatti, sottolineare come le linee guida internazionali inerenti alla protezione degli individui dall’esposizione ai campi elettromagnetici, richiamate anche dalla raccomandazione del Consiglio dell’Unione Europea 1999/519, applicano un fattore di riduzione di cinquanta volte alla potenza elettromagnetica che potrebbe produrre effetti potenzialmente nocivi, dimostrando una già alta attenzione riguardo al fatture cautelare; la normativa italiana, invece, applica un ulteriore margine cautelativo, pari a 100 volte, portando complessivamente a 5.000 il fattore di riduzione applicato nel nostro Paese: ed è proprio a causa dell’imposizione di tali limitazioni che gli operatori italiani sono costretti a creare una rete caratterizzata da una più elevata densità territoriale e, di conseguenza, sopportando un innalzamento dei relativi costi, un allungamento delle attese relative ai tempi di realizzazione degli impianti e, soprattutto, un maggiore impatto ambientale negativo. Per tutti questi validi motivi ed alla luce delle ormai comprovate tesi elaborate dalla comunità scientifica in merito alla validità dei limiti sanciti in ambito internazionale, inerenti all’efficacia di questi ultimi con riguardo alla radioprotezione, gli operatori italiani richiedono da tempo l’armonizzazione dei limiti nazionali con quelli raccomandati a livello internazionale.

L’attuale fase storica è inevitabilmente segnata da una radicale trasformazione dei modelli di business, trasformazione che, in maniera inevitabile, costringe le aziende a svolgere un ruolo sempre più proattivo nella costruzione dell’ecosistema digitale. Le reti 5G saranno sempre più rilevanti in diversi settori: in campo industriale, per la logistica, per le utilities, per la pubblica amministrazione, per il settore sanitario e della formazione: per tale motivazione, dunque, il 5G rappresenta un fondamentale anello di congiunzione tra innovazione e sostenibilità.

È fondamentale in quest’ottica che non venga dunque impedito od ostacolato, soprattutto da parte del decisore pubblico, la valorizzazione degli investimenti da parte degli operatori, investimenti tra l’altro propedeutici alla realizzazione di uno sforzo tecnologico e di infrastrutturazione di cui ne gioverebbe l’intero “Sistema Paese”: per far ciò, però, bisogna poter competere adeguatamente e a condizioni paritarie sui mercati europei e internazionali.