CHE COS’È QUESTA CRISI… CINESE?

Ecco cosa pensano gli avvocati d’affari italiani del rallentamento dell’economia della Repubblica Popolare e perché, secondo loro, il Paese è destinato a rimanere un mercato strategico.

La Borsa, da giugno scorso, ha visto crollare del 40% il proprio valore, anche se nell’ultimo anno aveva guadagnato qualcosa come il 150%. Nel primo trimestre del 2015, inoltre, il Pil della Cina è cresciuto “solo” del 7%, registrando la variazione più blanda degli ultimi sei anni. A questo si aggiunge la svalutazione della moneta nazionale, il renminbi, decisa da Pechino.

Ma la “crisi” cinese non preoccupa gli avvocati d’a!ari italiani che bollano il rallentamento dell’economia del Dragone come una fase congiunturale e si dicono convinti che il Paese sia destinato a rimanere un mercato strategico anche per il prossimo futuro.

Sono questi i risultati principali emersi da un’indagine lampo condotta da Mag su un campione di 20 tra le insegne nazionali più attive sull’asse Italia-Cina.

INVESTIMENTI

Il 72% degli studi che hanno risposto al questionario preparato da Mag non pensa che la frenata del Pil cinese sia destinata ad avere una ripercussione sugli investimenti in Italia. «I motivi a mio parere sono due», dice Renzo Cavalieri, di BonelliErede. «Il primo è che probabilmente una delle risposte della dirigenza cinese alla crisi sarà proprio uno stimolo ancora maggiore agli investimenti produttivi e commerciali delle aziende nazionali all’estero», dice l’avvocato. «Il secondo», aggiunge, «è che per la Cina, l’Italia non è una destinataria di flussi finanziari particolarmente sostanziosi e ad alto contenuto strategico: le acquisizioni cinesi in Italia, seppur in crescita, sono pur sempre operazioni numericamente limitate, che rispondono a specifiche necessità aziendali di upgrading produttivo e commerciale».

Sul punto interviene anche Antimo Cappuccio di Pirola Pennuto Zei che sottolinea come «gli investimenti cinesi all’estero sono parte integrante del processo di globalizzazione delle aziende cinesi. Tramite l’acquisizione di aziende straniere, la Cina colma il gap tecnologico e reputazionale, acquisendo brand conosciuti e presenti su scala globale». E proprio per questo, conferma Marco Nicolini di Chiomenti «nonostante una crescita meno forte è probabile che non vedremo un rallentamento degli investimenti verso l’Europa».

Detto questo, osserva Hermes Pazzaglini di Nctm, «le valutazioni dell’euro e degli asset Italiani rimangono complessivamente attraenti pur a valle della svalutazione del renminbi».

Addirittura, secondo Antonio Pedersoli di Pedersoli e Associati, «c’è da aspettarsi che proprio le turbolenze dei mercati finanziari cinesi inducano gli investitori a impiegare le risorse per investimenti in altri mercati».

Del resto, a!erma Giacomo Balletti di Franzosi Dal Negro Setti, «non bisogna confondere la crisi del mercato finanziario cinese, un mercato controllato e gonfiato con valori lontani da quelli reali e pratiche poco trasparenti, con il trend dell’economia produttiva. La seconda è rallentata, ma la Cina rimane un Paese con un enorme potenziale di crescita, ricca di aziende manifatturiere e tecnologiche con ambizioni globali. Penso che queste aziende abbiano interesse a continuare ad acquisire tecnologia e know-how di cui le nostre aziende spesso sono fornite».

IL RILANCIO

In questo scenario, allora, non stupisce che il 32% degli studi legali che hanno risposto alle domande di Mag abbiano detto di voler mantenere inalterato il loro impegno sul Paese e addirittura il 68% si dice pronto a investire ancora. «Il nostro coinvolgimento su progetti che coinvolgono aziende cinesi e italiane è decisamente in crescita», a!erma Stefano Beghi di Gianni Origoni Grippo Cappelli & Partners che aggiunge: «Stiamo investendo, abbiamo fatto assunzioni e la nostra recente alleanza con lo studio cinese Han Kun deve essere letta nel senso di un impegno a lungo termine sul mercato cinese». Anche R&P Legal pensa a investire ancora, come conferma Riccardo Rossotto: «La nostra responsabile del desk Cina, l’avvocato Xie Ying, ci conferma l’interesse dei suoi clienti o comunque dei suoi contatti cinesi per ulteriori sviluppi commerciali e industriali nel nostro Paese e in Europa».

Gli investimenti punteranno, in molti casi, a ra!orzare il presidio locale da parte degli studi italiani. Luigi Zunarelli, dello studio Zunarelli, per esempio, spiega che «la presenza in Cina finalizzata all’assistenza di sole aziende straniere è una forma sorpassata e non idonea a cogliere appieno il potenziale del mercato». E per questo «la crescita di professionisti cinesi che già collaborano da anni con la nostra struttura ed eventualmente l’inserimento di nuove risorse saranno il naturale sviluppo della presenza dello studio in Cina».

«Ciò che serve», a!erma Angelo Bonissoni di Cba, che di recente ha stretto un’alleanza con DeHeng, «è essere in grado di captare i bisogni che stanno nelle due aree e immaginare di proporre delle soluzioni che coinvolgano anche gli operatori locali: “One belt One road” questa è la strategia condivisa con gli amici cinesi».

UN MERCATO STRATEGICO

Insomma, gli avvocati d’a!ari italiani non sono preoccupati per il destino dell’attività con l’Estremo Oriente e il 63% liquida l’attuale fase come una congiuntura normale.

La Cina rimane strategica. Per Francesco D’Amora, partner di Quorum, che ad aprile ha stretto un’alleanza con lo studio Tahota, l’ex celeste impero o!re molte opportunità «in particolare nei distretti di Chonqing e Chengdu».

Ma la Cina, sottolinea Pedersoli, «era e resta un mercato complesso e molto difficile. Intendo dire che, anche prima della recente crisi finanziaria, la Cina rappresentava un’opportunità molto interessante, ma nel contempo estremamente complicata, al punto da richiedere grande impegno, attenzione e flessibilità culturale».

«Chi pensa alla Cina come un posto in cui arricchirsi facilmente con investimenti ridotti, sbaglia», conclude Silvano Lorusso di Blb, «i nostri clienti sanno che per avere successo in Cina occorre avere piani seri, a lungo termine e ben finanziati. Per chi è cosciente di queste (ormai banali) considerazioni, la Cina continua a essere assolutamente strategica».