L'indipendenza e l'imparzialità dell'arbitro in Europa e in Italia

Fino a pochi anni fa il numero dei procedimenti arbitrali condotti in Italia era relativamente basso, soprattutto se comparato con il resto dell’Unione Europea. Un'inversione di tendenza si è registrata dopo la riforma del 2006, che ha esteso il numero di controversie deferibili ad arbitri e quindi favorito una maggiore diffusione dello strumento, imponendo un coinvolgimento di un maggior numero di avvocati e scardinando il dogma della naturale indipendenza dell’arbitro. Alla diffusione dell’arbitrato in Italia si è quindi accompagnata una crescente considerazione dei temi etici ad esso connessi. Con il proliferare dei giudizi arbitrali, infatti, è sempre più elevato il numero di avvocati chiamati ad assumere il ruolo di giudicanti. Talvolta, però, gli avvocati tendono a dimenticare la nuova funzione che sono chiamati a svolgere, continuando a comportarsi come difensori della parte che li ha nominati. Il rischio che la funzione arbitrale perda di credibilità ha spinto la classe forense ad interrogarsi sull’attualità dei codici deontologici rispetto ai mutamenti imposti dall’istituzione arbitrale. Lodevole quanto fatto dal Consiglio Nazionale Forense, che ha di recente modificato l’art. 55 del codice deontologico dedicato ai doveri dell’avvocato arbitro. Alla luce di questa disposizione, i doveri più significativi sembrano essere i seguenti: imparzialità, indipendenza, trasparenza.

Per “indipendenza” si intende l’assenza di relazioni tra le parti e l’arbitro, che sia in grado di influenzare l’autonomia di giudizio di quest’ultimo. Il concetto di indipendenza è legato ad un fatto obiettivo, mentre l’imparzialità è una connotazione soggettiva. Quest’ultima infatti è l’assenza di preconcetti riguardo alla posizione delle parti. Dato che l’imparzialità è una prerogativa soggettiva è molto più difficile dimostrarne l’assenza. L’unico modo per escludere che vi siano preconcetti consiste nel verificare che l’arbitro non abbia già espresso la propria opinione all’interno di un altro processo, in quanto è molto probabile che il soggetto che l’ha espressa poi non la smentisca. Il fatto che l’arbitro abbia già deciso la questione in un altro giudizio non significa che questo non sia imparziale: si dovrà anche considerare il grado di analogia tra le questioni, l’identità delle parti in causa, ed il grado di prossimità culturale tra l’arbitro e le parti. Tale elemento è più sensibile nel caso degli arbitrati internazionali, dove la nazionalità dell’arbitro, se identica a quella di una delle parti, potrebbe indurre a ritenere che costui possa non essere imparziale. In questi casi, gli organismi arbitrali prevedono che gli arbitri debbano essere di nazionalità diversa da quella delle parti.


Un altro dovere significativo è quello della trasparenza, inteso come obbligo di dichiarare l’esistenza di qualsiasi circostanza in grado di escludere o limitare l’autonomia di giudizio, il cd. obbligo di disclosure , principio etico ormai riconosciuto dai maggiori organismi arbitrali nazionali ed internazionali. Tali organismi impongono agli arbitri di compilare, all’atto di nomina, una dichiarazione di indipendenza, nella quale menzionare ogni circostanza che possa interferire sulla propria indipendenza ed imparzialità. Nell’esperienza italiana, l’obbligo di disclosure è presente nel codice deontologico forense e nei regolamenti dei più importanti organismi arbitrali, ma non è previsto a livello normativo. Tale lacuna potrebbe essere colmata facendo riferimento alle norme sulla buona fede nell'esecuzione del contratto, o al dovere di diligenza nell'esecuzione del mandato. La mancanza di un dovere fissato legislativamente comporta che l’inadempimento al corrispondente obbligo potrebbe solo esporre l'arbitro al risarcimento dei danni subiti dalle parti, senza intaccare la validità del lodo.

L’attualità dei temi sopra delineati suggerisce come anche in Italia si possa affermare di aver raggiunto un considerevole grado di dimestichezza e familiarità con lo strumento arbitrale. In termini generali, il sempre crescente numero di arbitrati e l’interesse degli organi di autogoverno forense dimostrano come questo mezzo di risoluzione delle controversie stia guadagnando sempre maggiori spazi, anche grazie alla propria efficienza e dinamicità cui si contrappone la farraginosità del sistema giudiziario tradizionale. Tuttavia l’efficienza e la dinamicità non sarebbero in grado da sole di decretare il successo dell’arbitrato se non vi fosse anche la certezza che i tribunali arbitrali sono in grado, al pari di quelli tradizionali, di garantire che venga attuata una giustizia “giusta”. Un ruolo chiave nello sviluppo dell’arbitrato dovrà quindi continuare ad essere svolto dagli avvocati, che dovranno sapersi confrontare sempre più spesso con le difficoltà e le apparenti contraddizioni che la nomina ad arbitro porrà nei loro confronti.