Startup, i primi passi da non sbagliare: come l'idea diventa progetto

La seconda parte del ciclo di articoli sulle linee guida per nascere, crescere e non commettere errori fatali: il Business Plan

L’Italia, terra di startup: così recitava il forte incipit del primo di questo ciclo di appuntamenti dove, di volta in volta, saranno trattati sinteticamente e in modo molto pratico e colloquiale i vari aspetti da tenere necessariamente presente quando si va verso l’avvio di una nuova impresa. E così si conferma: l’Italia, florida terra d’idee e di startup, anche di quelle mai nate nonostante la bontà, e di quelle appassite ancor prima di sbocciare. Le cause? Per esempio, solo per citarne alcune: confusione, fretta, diffidenza, superficialità, testardaggine, illusione, pigrizia, scarsa attenzione ai noiosi e boriosi aspetti tecnici e procedurali, trascuratezza nella pianificazione della sostenibilità finanziaria. Noi vogliamo evitarlo e siamo qui per questo: professionisti giovani che credono nelle idee e nella forza di chi ha il coraggio di scommettere su un futuro migliore e più in linea con le dinamiche globali. 

Una startup nasce sempre da un’idea, da un foglio di carta con una sfilza di appunti, da una serie disordinata di numeri, da un progetto grafico o da una stringa di codice: in questi aspetti è insito il valore inestimabile del seme. Un seme tuttavia non è ancora un progetto, che pur dal seme nasce. La startup di successo è invece una serie di processi che si susseguono e mutuano dal comune denominatore dell’idea di base

L’idea diventa progetto:

quando se ne comprende la possibilità di utilizzo pratico, reale ed economico (s’individua, in sostanza, la necessità di un bene o un servizio e l’idea si concreta in un’offerta chiara);

quando se ne traccia un mercato potenziale e un target specifico (più o meno ampio, più o meno complesso da raggiungere, ma sempre necessario);

quando si individua il più classico e semplice dei revenue model (il momento in cui e la ragione per cui il denaro transa dal cliente al fornitore, nel minor tempo possibile, poiché il tempo è denaro);

quando si comprende che i ricavi attesi sono maggiori dei costi necessari a generare quegli stessi ricavi (marginalità industriale ed operativa positiva, formula della sostenibilità, economicità e profittabilità);

quando, soprattutto, si concilia tutto ciò con l’ambiente normativo (per esempio, fiscale, amministrativo, previdenziale e tributario) circostante, cercando di non tralasciare gli oramai imprescindibili requisiti etici e/o ambientali (per esempio, bio, solidale, green, high tech…).

Sembra facile a dirsi, ma è molto difficile a farsi. Da un punto fermo occorre pur partire. Gli interventi che vorremmo portare a favore della comunità economica si focalizzeranno appunto sui punti nevralgici dei processi sopra esemplificati, sempre senza pretesa di assolutezza, ma semplicemente mutuando dall’esperienza pratica e cercando di prevenire i più classici dei passi falsi. In dettaglio possiamo prevedere una sorta di indice delle prossime trattazioni: si parlerà di Business Plan (dall’idea all’attuazione, un passaggio necessario per riordinare le priorità), si parlerà di scelta in tema di carattere societario (ditta individuale, società di persone o di capitali, opportunità offerte dalle recenti revisioni normative in campo sia legale che fiscale), si tratterà di iter amministrativi (autorizzazioni e relative tempistiche/requisiti, forse lo scoglio maggiore per un visionario imprenditore), ci sarà modo di annoiarsi con un recap delle scadenze periodiche e degli aspetti da monitorare (IVA su tutti, ma anche passaggi di astuzia), ci sarà da divertirsi in tema di sviluppo, cessione, valorizzazione e, perché no, quotazione in Borsa! 

È inutile, a nostro avviso, parlare di startup da filosofi; è inutile scendere nei dettagli tecnici dei funzionamenti societari più complessi; è inutile fare grandi strategie di allocazione fiscale e previdenziale se prima non si hanno una sana idea e un altrettanto sano progetto di come creare un business. Il Business Plan di cui tanto si parla non è altro che un alto concentrato di buon senso, serve tanto all’organizzazione interna, quanto alla relazione con i terzi, e soprattutto, se ben se ne comprendono le dinamiche e le logiche sottostanti, è il primo campanello di allarme sul possibile funzionamento di una idea di business.

Idee semplici, difficili da replicare, dai flussi di cassa certi: le tre regole del successo.

Non occorrono grandi consulenze in fase di pianificazione, se non una guida (come un allenatore di calcio o un mentore spirituale) che indichi il miglior modo di spendere le proprie energie. Ecco una serie di domande (esemplificative) cui occorre dare una risposta in fase di corretta pianificazione di un business.

Da dove e come nasce la mia idea?

Quale bisogno delle persone va a soddisfare?
Sono il primo ad avere questa idea? Qualcuno è disposto a pagare per la mia idea?
Io stesso sarei disposto a pagare e investire?
Chi sono i miei concorrenti attuali e futuri?
Chi sono i miei fornitori strategici e i potenziali clienti? Chi è il mio cliente tipo e dove si trova?
Qual è il modo migliore per veicolargli la mia offerta?
Quanto potere contrattuale posso avere nei confronti di questi soggetti?
Quanto è chiuso o aperto il mercato in cui voglio entrare?
Quanto è replicabile la mia idea e quindi quanto può durare il mio vantaggio competitivo?
Conta di più la mia tecnologia o il mio tempismo?

La mia tecnologia è difendibile e migliorabile e richiederà costanti aggiornamenti?
Oltre alla sostanza, conta anche la forma per veicolare il mio prodotto o servizio al mercato?
Quali sono i miei punti di forza e di debolezza?
Quali le opportunità e le minacce che mi si parano innanzi? Devo associare un brand alla qualità della mia offerta?
La mia sarà una vendita spot o ricorrente?
Il sistema di pagamento è immediato e garantito?
Ho rischio di credito nel mio business?
Qual è il mio margine industriale e operativo?
Potrà restare invariato o il tempo/volumi andranno ad intaccarlo?

Domande di puro buon senso, non da scienziato. Conoscere il mio prodotto/servizio/tecnologia, comprendere il mio mercato/cliente/ambiente competitivo, avere una visione e una consapevolezza delle strategie che si vogliono seguire, conoscere le dinamiche economico/finanziarie che si possono agganciare all’idea che credo sia vincente.

E poi i margini: vale la pena montare un business per fare il passacarte? Non sempre si avranno le risposte a queste domande, e spesso le risposte potranno evolversi e trasformarsi nel giro di settimane o mesi: ma la sfida è proprio questa. 
Una startup che vuole sopravvivere deve essere in grado di saper rispondere meglio degli altri a queste domande, perché solo così l’idea diventa un progetto.

Scrivere un Business Plan vuol dire proprio questo: mettere in ordine tutte le idee strategiche, tecniche, commerciali ed economiche correlate al progetto di business e, nel frattempo,rendersi conto di quanto queste idee siano sostenibili e difendibili, e nel caso correggerle in corso e tornare indietro per affinarle. La continua messa in discussione delle proprie certezze è l’unica via per mantenere il vantaggio competitivo.

Gli aspetti finanziari

Una volta definita la parte di prodotto, di mercato e di strategia occorre passare a quella economica e finanziaria, e capire se la sostenibilità reale esista e quanto questa possa durare nel tempo, senza trascurare gli aspetti di lucro. E di nuovo torniamo alle domande da porsi ed al buon senso nel rispondersi.

Quali e quanti sono i ricavi previsti?

Che ciclicità e distribuzione hanno, ad esempio, da un punto di vista temporale, territoriale o di categoria di prodotto?
Posso sostenere le mie ipotesi di crescita con ricerche di mercato o mutuando da quanto avvenuto in mercati simili?
Quali e quanti sono i costi?
Quali i costi fissi e quali quelli variabili?
Quali i costi diretti ed indiretti?
Quali quelli prioritari, strettamente necessari e inderogabili e quali quelli che possono essere rimandati o ottimizzati?
A quanto ammontano gli investimenti necessari per tecnologia e altri beni durevoli?
Quali sono le dinamiche finanziarie di incasso dai clienti e di pagamento ai fornitori? 
A quanto ammonta il rischio di credito?
Quanto controllo ho sulle dinamiche temporali che influenzano i miei flussi di cassa?
Come posso anticiparli?
A quanto ammontano il capitale iniziale proprio e quanto (se necessario) quello di terzi?
Che garanzie e rendimenti posso offrire ai terzi finanziatori?
Che valore preliminare posso attribuire alla mia idea per attrarre un investitore?

È necessario condurre delle analisi di simulazione e di scenario per comprendere la debolezza della propria idea e delle proprie elaborazioni matematiche rispetto alle variabili del mercato. Per esempio, individuare il punto di pareggio (break even) e il livello di rischio di ciascuna scelta finanziaria. In seguito stressare queste previsioni: cosa succede al mio punto di pareggio economico se ritardo di sei mesi il mio time-to-market? Che cosa succede alla mia sostenibilità finanziaria se la mia crescita sarà pari alla metà di quanto mi aspetto? Che cosa accade se cambiano le condizioni e le tempistiche di incasso e pagamento?

Più approfondite sono le indagini e le simulazioni, più le idee si schiariscono, più si migliora l’idea stessa; più si individuano i rischi e più l’idea si plasma per essere venduta a terzi. Già, poiché il secondo fine del Business Plan è quello di presentarsi agli altri, e cioè a chiunque possa essere interessato a capire le mie idee ed a sostenerle.

Il tale ottica, il Business Plan è lo strumento di comunicazione e di marketing primario. Si tratta di una previsione, ma con un sottostante ragionamento, che è il biglietto da visita dell’imprenditore. Nessuno, almeno in fase preliminare, potrà giudicare una startup (e magari compiere delle scelte di investimento o finanziamento) se non ha fiducia nel promotore dell’idea (poiché magari l’azienda ancora non esiste e non ha incassato un solo euro). Ed è proprio un ordinato, semplice, chiaro e ragionato sommario delle proprie intenzioni che può far partire una impresa con il piede giusto, anche accaparrandosi la stima e la fiducia di chi è in grado di apprezzare un corretto e sano lavoro di pianificazione strategica ed economica.  

In sintesi: il Business Plan come strumento organizzativo, di supporto alle scelte e migliorativo interno, come strumento di comunicazione e serietà esterna, che sia in grado di sintetizzare, rendere accattivanti ed analizzare profondamente delle idee semplici, difficili da replicare, dai flussi di cassa certi.

Alla prossima puntata.