Il work for equity e le startup innovative*

La crisi imprenditoriale che il nostro Paese sta attraversando è stata sicuramente causata anche dallo scarso interesse rivolto all’innovazione. Per ovviare a tale criticità, si è deciso di incentivare le imprese che si affacciano per la prima volta sul mercato investendo nello sviluppo, nella ricerca e nell’innovazione: le startup. Trattandosi di nuove realtà imprenditoriali, possono trovare difficoltà a gestire, sia finanziariamente, sia operativamente, la fase di avviamento. Storicamente, sono stati funzionali a ridurre tali difficoltà la costituzione di Società in Accomandita per la gestione delle attività e lo strumento dell’Associazione in partecipazione. Tali modelli presentano, tuttavia, non pochi problemi: nel primo caso, si deve prestare particolare attenzione alla delicata operazione di spartizione del controllo delle attività con un altro socio; nel secondo, invece, la disciplina che tende a stabilizzare il rapporto di associazione può comportare un discutibile avvicinamento a quella del lavoro subordinato.

Oggi, invece, in una situazione economica delicata, il legislatore vede nelle Srl la soluzione per  rilanciare  l’imprenditoria.  Riconoscendo  che  gli  startuppers si trovano talvolta in difficoltà nel sostenere tutte le spese, è stata prevista l’introduzione di meccanismi in deroga alla disciplina tradizionale delle S.r.l. che consentano di ridurre i costi relativi alla remunerazione di collaboratori, dipendenti e fornitori. Tali meccanismi presentano il duplice vantaggio di rendere accessibili collaborazioni qualificate di ogni genere e riconoscere al “collaboratore” vantaggi contributivi.

Tra le tante novità desta particolare interesse il work for equity , meccanismo già largamente sperimentato all’estero (es. U.S.A.); esso consiste nel riconoscere, a fronte di una prestazione (che vedremo essere di vario tipo), anziché l’ordinario compenso, strumenti finanziari, partecipativi e non. In questo modo il prestatore si assume il rischio d’impresa e non appesantisce la situazione finanziaria della startup.

Anzitutto, è bene specificare che il legislatore prevede due categorie distinte di soggetti destinatari della normativa: da un lato, amministratori, dipendenti (anche se a tempo determinato o part-time) e collaboratori continuativi (compresi i lavoratori a progetto il cui reddito è assimilato è quello dei dipendenti); dall’altro, prestatori di opere e di servizi, ivi inclusi quelli professionali (avvocati, notai, commercialisti ecc.).

Analizziamo ora le due categorie.

La prima, che include tutti quei soggetti che siano legati da un rapporto continuativo con la start-up, è disciplinata dal comma 1 dell’Art. 27, del d.l. 179/2012, che prevede, quale forma di remunerazione dei soggetti, l’attribuzione di strumenti finanziari o diritti similari nonché l’esercizio di diritti d’opzione attribuiti per l’acquisto di tali strumenti finanziari. Gli strumenti finanziari partecipativi delle start-up dovranno consentire la partecipazione sotto il profilo patrimoniale e/o organizzativo. Con riguardo ai diritti amministrativi attribuibili, essi sono numerosi e, eccezion fatta per la tassativa esclusione del diritto di voto in assemblea e del diritto di recesso, spaziano dal diritto di impugnare il bilancio al diritto di denunciare fatti censurabili al collegio sindacale, di esercitare l’azione sociale di responsabilità verso gli amministratori e verso i sindaci, di essere informato circa l’attività e l’andamento della società, ecc..

Nel caso specifico dei dipendenti (riconducibili al c.1), è bene specificare che la retribuzione non può essere costituita interamente da equity in quanto, accanto a una componente partecipativa in misura variabile, per legge, deve essere sempre riconosciuta una componente fissa uguale o superiore al minimo tabellare previsto per il rispettivo contratto di inquadramento dal contratto collettivo applicabile.

Aldilà dei benefici pratici del meccanismo in questione, i soggetti destinatari degli strumenti finanziari godono di un significativo beneficio contributivo. Va segnalato, infatti, che le azioni, le quote, o gli strumenti finanziari emessi a fronte di prestazioni d’opera o di servizi, ivi compresi quelli professionali, non concorrono alla formazione del reddito di chi le presta. Questo vuol dire che i prestatori ricevono una quota di partecipazione della società e sono esentati dal pagare l’imposta sul bene o il servizio fornito; è chiaro che, pur trattandosi di esenzione, dovrà essere fatto ugualmente richiamo delle prestazioni in sede di dichiarazione dei redditi.

Va sottolineato che la portata di tali esenzioni costituisce un’eccezione alla regola generale di legge. Si rende quindi necessaria l’interpretazione più ristretta possibile della fattispecie; nel caso dell’opzione, ad esempio, il vantaggio fiscale sembrerebbe essere limitato soltanto al diritto di opzione e non alle azioni oggetto di tale diritto, quindi la differenza fra il valore delle azioni al momento dell’emissione del diritto e il loro valore al momento dell’esercizio potrà essere contabilizzato a costo .
Ai sensi dell’art. 27, c.3 del decreto legge, l’esenzione per la prima categoria si applica agli strumenti finanziari e ai diritti attribuiti ed esercitati dopo l’entrata in vigore della l. 221/2012.

Laddove le partecipazioni vengano vendute, verrà tassata solo l’eventuale plusvalenza (differenza tra il prezzo di cessione e il prezzo di acquisto). L’aliquota da applicarsi
in questa sede sarà non quella applicabile generalmente ai redditi da lavoro dipendente (purché si tratti di partecipazione non qualificata), bensì l’aliquota fissa del 20% che si applica ai c.d. capital gain.

Tuttavia, nel caso in cui gli strumenti emessi siano riacquistati, direttamente o indirettamente tramite controllate o controllanti, dalle società presso cui il titolare dello strumento ha prestato il proprio lavoro, il regime fiscale di favore viene meno. Il valore dello strumento finanziario assegnato verrà quindi considerato reddito di lavoro e come tale sarà soggetto a tassazione; rimarrà tuttavia applicabile all’eventuale plusvalenza l’aliquota del 20%.
È interessante notare che il c.1 di cui sopra rende gli strumenti finanziari, partecipativi e  non,  appannaggio anche degli incubatori certificati, facendo così in modo che startup e incubatori possano svilupparsi parallelamente senza entrare in conflitto.

Come prima  accennato,  la  seconda  categoria  di  soggetti coinvolti nel meccanismo del work for equity è costituita da prestatori d’opera e di servizi, collaboratori esterni della startup e professionisti, quali, ad esempio, avvocati, commercialisti e notai, che l’art.27, c.4 del decreto legge rende destinatari sostanzialmente dei medesimi strumenti partecipativi di cui possono godere i soggetti appartenenti alla prima categoria: azioni, quote e strumenti finanziari partecipativi. In aggiunta, si applica loro il medesimo regime fiscale in sede di assegnazione di equity. Ciò che distingue le due categorie è il trattamento fiscale delle partecipazioni in sede di cessione alle start-up di emissione (o ai soggetti facenti parte del medesimo gruppo societario): se in tale circostanza i soggetti indicati dal c.1 vedevano venir meno il trattamento fiscale di favore loro attribuito, i soggetti individuati dal c.4, invece, mantengono il medesimo beneficio. Resta in dubbio la possibilità di applicare l’esenzione contributiva anche agli strumenti finanziari emessi precedentemente all’entrata in vigore del decreto; il testo normativo potrebbe lasciar intendere ciò dal momento che parla di “crediti maturati a seguito della prestazione di opere e di servizi”. È inoltre interessante notare che il dispositivo volto a rendere applicabile la disciplina a seguito dell’entrata in vigore del decreto è collocato prima del comma 4 e fa riferimento solo esclusivamente all’art.1; tale argomento porterebbe ad escludere la sua applicazione ai soggetti appartenenti alla categoria dei prestatori di opere e servizi.

Come precedentemente indicato, alle S.r.l. è concessa la facoltà di poter derogare ai limiti riguardo alle operazioni sulle proprie partecipazioni, permettendo così alle startup di ricomprare i titoli emessi. La possibilità di usufruire di tale modalità è solitamente di competenza delle sole S.p.a; tuttavia,  il  legislatore  sente  l’esigenza  di  ampliarla  alle
S.r.l. (per le quali non è possibile la libera circolazione dei titoli nel mercato regolamentato) nell’ottica di favorire la monetizzazione del titolo conseguito dal prestatore o dal collaboratore della società.
Alla luce dell’analisi effettuata, ci auspichiamo che il work for equity possa trovare un ampio accoglimento presso le startup innovative, in quanto è uno strumento remunerativo vantaggioso che ha dimostrato di funzionare senza problemi in Paesi che ne sperimentano l’uso da anni.

Avv. Nicolino Gentile
Giulia Caliari
Gianmaria Maggi
 

* Le informazioni contenute nelle newsletter hanno carattere esclusivamente informativo e di aggiornamento e non hanno carattere esaustivo, né possono essere intese come espressione di un parere legale o presupposto al fine di adottare decisioni.

File allegati