Lo spettro dell'usura sui contratti bancari

Negli ultimi tempi si sente sempre più spesso parlare di usura in relazione ai contratti bancari, senza tuttavia avere ben chiaro quando gli interessi possano effettivamente definirsi usurari e quali siano i rimedi che l’ordinamento giuridico italiano ha apprestato per ovviare a tale situazione.

Tale tema è sicuramente molto complesso e si presta così a diverse interpretazioni sia dottrinali che giurisprudenziali. Al fine di fare chiarezza nella confusione attualmente esistente, occorre innanzitutto partire dai dati normativi:

  • Legge numero 108 del 7 marzo 1996, recante disposizioni in materia di usura, secondo cui il limite oltre il quale gli interessi sono considerati usurari va individuato in ossequio alle disposizioni del codice penale;
  • Articolo 644 del Codice penale, rubricato per l’appunto “Usura”, che al quarto comma prevede che “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate all’erogazione del credito”;
  • Decreto legge 394/2000, emanato come interpretazione autentica della legge del 1996, che all’articolo 1, comma primo, statuisce: “ai fini dell’applicazione dell’articolo 644 del codice penale e 1815 comma secondo del codice civile, si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo, indipendentemente dal momento del loro pagamento”; la relazione governativa esplicativa del decreto, inoltre, fa esplicito riferimento a ogni tipologia di interesse: corrispettivo, compensativo o moratorio;
  • Articolo 1815 del codice civile, dettato nello specifico per i contratti di mutuo che al comma secondo stabilisce che: “se sono convenuti interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti interessi”.

Già dall’analisi di tali riferimenti normativi si evince che il calcolo dei tassi va riferito al momento in cui gli stessi sono pattuiti, indipendentemente dal loro effettivo pagamento. Ciononostante occorre considerare che la giurisprudenza, accanto alle ipotesi di usura ab origine, ovvero la situazione in cui i tassi siano usurari già al momento della stipulazione del contratto, ha prospettato la configurabilità dell’usura sopravvenuta. Con tale espressione si fa riferimento a due distinti fenomeni: in primo luogo, al caso di contratti in corso al momento dell’entrata in vigore della sopracitata legge del 1996; in secondo luogo, alla eventuale necessità di procedere a successive verifiche della natura usuraria dei tassi originariamente pattuiti, a seguito di intervenute variazioni in diminuzione dei tassi soglia. La rilevanza giuridica dell’ipotesi di usura sopravvenuta è stata argomento di numerose pronunce giurisprudenziali, tra loro contrastanti al punto da comportare l’emersione di due orientamenti diametralmente opposti: l’uno favorevole, l’altro contrario alla configurabilità dell’istituto. La tesi favorevole al riconoscimento dell’usura sopravvenuta è stata sostenuta, tra gli altri, dalla Corte di Cassazione Civile (sentenza n. 5286 del 2000), dal Tribunale di Bologna (sentenza del 19/6/2011) e dall’Arbitro Bancario Finanziario di Roma (lodo del 29/2/2012) e prende le mosse dalla rilevanza, ai fini della configurazione dell’ipotesi di usura, del momento in cui i singoli pagamenti vengono effettuati. La tesi contraria ad ammettere l’usura sopravvenuta è fondata, invece, sull’assunto che rilevante ai fini della disciplina sia unicamente la data della conclusione del contratto; pertanto, non sarebbe possibile nessuna successiva verifica del tasso originariamente pattuito (cfr. sentenza n. 8138/2009 della Corte di Cassazione Civile; lodo 18 ottobre 2011 dell’Arbitro Bancario Finanziario di Milano).

Un altro aspetto molto problematico relativo al tema in parola è quello del calcolo del tasso da raffrontare alle indicazioni del Ministero del Tesoro, in particolare con riferimento alla eventuale inclusione del tasso d’interesse moratorio nel predetto computo. Nonostante il dato legislativo appaia, ad una prima lettura, chiaramente favorevole all’inclusione nella somma degli interessi ad ogni titolo pattuiti nonché di tutte le ulteriori spese connesse all’erogazione del credito, è proprio sulla questione in analisi che gli orientamenti giurisprudenziali intervenuti registrano i maggiori contrasti. In una prima fase, la Corte di Cassazione Penale (sentenza n. 12028 del 2010) ha affermato, in ossequio alla lettera della legge, che il tasso di interesse corrispettivo, ai fini del confronto con il tasso soglia, deve essere maggiorato includendo il tasso moratorio e tutte le spese che il debitore è tenuto a sostenere in connessione all’uso del proprio credito. La sentenza interveniva in particolare con riferimento alla commissione di massimo scoperto, decretandone la rilevanza ai fini del raffronto. Tale argomento è stato poi confermato dalle sentenze della Corte di Cassazione Civile nn. 350, 602 e 603 del 2013.

Tuttavia, nel mese di gennaio 2014, sono intervenute due ordinanze dei Tribunali di Milano e Napoli che hanno fornito una nuova interpretazione del principio che pareva, fino ad allora, condiviso. Pur confermando la rilevanza dei tassi moratori ai fini della sussistenza del reato di usura, le pronunce escludono che questi debbano essere sommati agli interessi corrispettivi ai fini del calcolo. Invero, i tassi di mora rivestono una funzione autonoma e distinta di penalità per il mancato adempimento, la loro emersione è meramente eventuale e l’entità non è determinata, essendo commisurata alla durata del ritardo nell’adempimento. Pertanto, secondo tali recentissime pronunce, di cumulo tra i tassi potrebbe effettivamente parlarsi solo in caso di ritardato pagamento e in riferimento alla singola rata. Anche in questo caso però, la nullità, dovuta al superamento delle soglie di usura, colpisce unicamente il tasso moratorio riferito alla rata su cui il calcolo è effettuato. Concludono, infatti, le ordinanze affermando che gli interessi corrispettivi, pattuiti in misura inferiore al tasso soglia ministeriale, sono sempre dovuti e, se pagati, non devono essere restituiti.

Per quanto attiene alle sanzioni previste dall’ordinamento per ovviare al superamento dei tassi soglia, occorre prendere in considerazione l’art. 1815 del Codice Civile che sancisce la nullità della clausola contrattuale in cui gli interessi ultralegali sono pattuiti. Tale disposizione, che come detto è dettata in particolare per i contratti di mutuo, è stata oggetto di interpretazione estensiva da parte della Corte di Appello di Venezia che con la sentenza n. 342 ha esplicitamente ribadito che la sanzione si applica a tutte le fattispecie di obbligazioni pecuniarie, indipendentemente dal nomen giuridico del contratto. Occorre però segnalare come anche il profilo sanzionatorio, per l’ipotesi di superamento del tasso soglia, sia oggetto di contrasti giurisprudenziali. La Corte di Cassazione (sentenze n. 602 e n. 603 del 2013) ha affermato che, a seguito dell’introduzione nell’ordinamento del meccanismo basato sui tassi soglia (legge 108/1996), in caso di interessi corrispettivi e moratori eccedenti la soglia di usura, le pattuizioni contrattuali devono essere sostituite con i tassi indicati trimestralmente dal Ministero. Come chiarisce il Tribunale di Napoli nella sentenza del 16 ottobre 2013: gli interessi corrispettivi e moratori sono sempre dovuti (e, qualora pagati, non sono restituiti), dovendosi unicamente procedere alla loro riduzione entro i limiti del tasso soglia.

Da tutto quanto sopra riportato è evidente la complessità della questione, che unita alla pluralità di fonti normative, non ha permesso alla giurisprudenza di addivenire a un orientamento costante e generalmente condiviso. Ne consegue che, ad oggi, al fine di pervenire a determinazioni giuridiche certe e fondate, assumono rilevanza fondamentale le specificità delle obbligazioni pecuniarie pattuite.

Avv. Nicolino Gentile

Dott.ssa Nicoletta Mancusi

 

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