Procedimento monitorio semplificato – La nuova proposta a favore del creditore

Sulla scorta della moltiplicazione degli strumenti di ADR degli ultimi anni, il DDL 755/2018 si propone di innovare il procedimento monitorio ed accostare un metodo alternativo, più snello ed efficace, vicino alle esigenze creditorie.

La proposta – ad oggi ancora in esame al Senato –  prevede la possibilità per l’avvocato di assumere il ruolo di “attestatore” dei requisiti di emissione, eliminando quindi la fase che, attualmente, si svolge inaudita altera parte innanzi al Giudice.

In estrema sintesi, l’avvocato che sia munito di mandato professionale, su richiesta dell’assistito creditore di una somma liquida di danaro, emetterebbe l’ingiunzione – peraltro comprensiva di spese e competenze autoliquidate direttamente dal professionista – al debitore, al quale verrebbe concesso un termine di 20 giorni, alternativamente, per saldare il debito ovvero per proporre opposizione (con ricorso e non più con citazione). L’atto di ingiunzione potrebbe essere notificato a mezzo PEC o attraverso la notifica a mezzo posta. In mancanza di opposizione, il creditore sarebbe legittimato a procedere con l’esecuzione forzata.

Allo scopo di evitare inutili procedimenti esecutivi, inoltre, si prevede la possibilità di autorizzare il difensore a consultare le banche dati delle pubbliche amministrazioni per ricercare ante causam, con modalità telematiche, i beni da pignorare.

Se questo disegno di legge passasse l’esame del Parlamento, il creditore non dovrebbe più sostenere il costo del contributo unificato e potrebbe giovarsi di tempistiche (almeno sulla carta) dimezzate per ottenere un titolo da portare in esecuzione, mentre le nuove prerogative dell’avvocato sarebbero controbilanciate dalla previsione di una sanzione disciplinare in caso di dolo o colpa grave, oltre all’obbligo di rimborsare le spese giudiziali e i danni subiti da colui che risultasse erroneamente ingiunto.

Si tratta di una proposta a cui si guarda favorevolmente, pensata per alleggerire l’iter procedurale ed i costi sopportati attualmente dal creditore rimasto insoddisfatto e che, effettivamente, potrebbe giovare all’ormai stanca ed affaticata macchina giudiziaria italiana.

Tuttavia, alcuni aspetti rimangono oscuri. Ad esempio, non è chiaro a quale ufficio giudiziario spetterebbe la competenza  ad attestare l’esecutorietà del decreto emesso dall’avvocato, né, altrettanto, quali siano i criteri per individuare il giudice innanzi al quale proporre l’opposizione.

Inoltre, il DDL 755/2018, di per sé, è strutturato per permettere l’emissione del D.I. in tutte le ipotesi attualmente previste dall’art. 633 c.p.c., compresa quella di cui al n. 1, da sempre fonte di dibattiti in tema di casistica giurisprudenziale. Quali parametri dovrebbe adottare il professionista nella valutazione di tali requisiti, per non incorrere in opposizione o, peggio, alla condanna al risarcimento del danno?

Lo sforzo per agevolare le pretese creditorie, soprattutto nella attuale cornice di notoria lentezza della giurisdizione civile italiana, è sicuramente meritevole.

Ma che dire del debitore? La sua posizione, di fatto, risulterebbe sacrificata sotto diversi aspetti, a partire dall’aggravio di spese a suo carico, ad oggi ripartite tra le parti, al rischio di instaurare giudizi innanzi autorità incompetenti, a causa della poca chiarezza del testo di legge. Inoltre, la tempistica adottata potrebbe apparire eccessivamente stringente e, forse, lesiva del diritto costituzionalmente garantito alla difesa.

Il rischio, attualmente, è che qualora non venissero previste le opportune cautele, si potrebbe  veder vanificato lo spirito stesso della riforma; allo stato della questione, infatti, ben si potrebbe auspicare una sensibile riduzione  dei ricorsi per D.I., ma con il concreto pericolo che si moltiplichino i ricorsi in opposizione, che, trattandosi di procedimenti in pieno contraddittorio tra le parti, andrebbero ad aggravare ulteriormente la situazione ed il dispendio economico, temporale, umano della macchina giudiziale.