Smart contract e patologia contrattuale: l’ipotesi della nullità.

Presupporre che un contratto sia intelligente ed autonomo, ossia che sia capace di autoeseguirsi in funzione delle istruzioni che sono state fornite dalle parti contraenti al codice informatico che lo rappresenta, può avere un senso solo nella parte fisiologica oppure anche in quella patologica?

Ora, di quali siano le possibilità di funzionamento e di esplicazione degli effetti contrattuali di uno smart contract nella fase fisiologica della vita di un rapporto giuridico contrattuale abbiamo provato a scrivere nel nostro precedente contributo, al quale rimandiamo. In breve, abbiamo teorizzato che, di fatto, lo smart contract – in maniera forse anche volutamente provocatoria –  non è affatto un contratto ma, scrivevamo, una parziale rappresentazione giuridica della volontà dei contraenti, che in altra sede hanno fatto incontrare le proprie volontà ed hanno dettagliato il contenuto delle obbligazioni, o delle prestazioni.

Vediamo quindi cosa ragionevolmente può avvenire quando si utilizzi uno smart contract ed il rapporto contrattuale ivi rappresentato “si guasti”, si “ammali”. Le categorie della patologia contrattuale sono essenzialmente la nullità e l’annullabilità. Meglio, tali sono le conseguenze alle quali il contratto, e quindi le sue parti ed in generale gli aventi interesse, possono andare incontro, in forza di vicende causate da fattori interni o esterni al rapporto contrattuale stesso.

Molto in breve – ed escludendo il caso limite dell’inesistenza contrattuale – possiamo distinguere tra le patologie attinenti alla creazione del contratto, nelle quali il contratto nasce viziato, più o meno gravemente (per cui avremo le ipotesi di nullità e annullabilità) e quelle relative al funzionamento dello stesso, nelle quali il contratto, nato immune da vizi, vede la sua esecuzione incorrere in taluni difetti (per cui avremo le ipotesi di risoluzione).

Affrontiamo in questa sede l’ipotesi della nullità. Seguiranno, nei prossimi contributi, le analisi delle altre ipotesi di patologia contrattuale.

La nullità è determinata:

  • Da una certa incompletezza, rilevante, dell’atto-contratto (carenza di accordo delle parti, causa, oggetto, forma se ad substantiam);
  • Dalla impossibilità, per l’ordinamento, di permettere che possano essere convenute prestazioni in contrasto con l’ordinamento stesso (illiceità della causa, dei motivi, contrarietà a norme imperative, oggetto che sia possibile, lecito, determinato o determinabile).

L’ordinamento prevede che:

  • La nullità è insanabile, salvo che venga effettuata una conversione ex art. 1424 c.c. (che recita “Il contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso, del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma, qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità”);
  • L’azione volta a dichiarare la nullità è imprescrittibile e può essere proposta non solo dalle parti ma da chiunque vi abbia interesse;
  • La nullità spiega i suoi effetti dall’origine e quindi ogni atto, azione o intervento avvenuti in forza del contratto nullo debbano essere ridotti in pristino.

Ora, la domanda è: cosa avviene giuridicamente se uno smart contract dai contenuti nulli opera comunque, spiegando i propri effetti? La risposta è: ciò che avviene con un contratto tradizionale, ossia: fintanto che nessuno abbia sollevato un problema di nullità, nulla quaestio. Ma quando questo avviene, considerato che solo il giudice (o l’arbitro) può dichiarare la nullità, lo smart contract trova giocoforza il proprio limite, dovendosi le parti necessariamente rivolgere ad un terzo, esterno allo smart contract stesso, per poter risolvere il dubbio sorto. Anche qualora lo smart contract contenga delle disposizioni che consentano, al ricorrere di determinate ipotesi, di ovviare alla potenziale nullità accedendo, in maniera pianificata, ad una possibile conversione ex art. 1424 c.c., va distinto il caso in cui tale soluzione sia automatica e non contestata, quindi rimessa ad una negoziazione delle parti da quello in cui necessiti, invece, l’opera di interpretazione, tanto delle parti quanto di un terzo; anche in tale secondo caso lo smart contract preformato non è sufficiente a se stesso, abbisognando, invece, nel corso della fase patologica della propria vita, di un supporto esterno (che sia dei contraenti o di un terzo).

Un’altra domanda può essere: cosa avverrebbe se un terzo interessato, o una delle parti contraenti, volessero, magari dopo molto tempo dall’esecuzione degli obblighi, far valere la nullità di un contratto portato da uno smart contract ospitato su blockchain privata e tale smart contract non fosse più disponibile?

Anche in questo caso, la risposta potrebbe essere: ciò che avviene con un contratto tradizionale tra privati ossia, dopo aver ricostruito ed accertato il contratto nel suo svolgimento, nel suo contenuto e, a scopi interpretativi, nelle intenzioni delle parti, si accerterà la sussistenza del vizio e si dichiarerà la nullità. Ebbene, anche tale esempio rende evidente come lo smart contract, in fase patologica, non basti a sé stesso, dovendo necessariamente transitare per un’operazione di ricostruzione ed interpretazione compiuta a posteriori e dall’esterno. Beninteso: tanto che ciò avvenga con forza giurisdizionale, e quindi ad opera di un’autorità cogente (giudiziale arbitrale), quanto che vi si giunga per mutua volontà delle parti, ciò non toglie che lo smart contract non sufficientemente programmato, per definizione, è insufficiente nei contenuti e non può resistere, e bastare a se stesso, a fronte delle molteplici vicende che il mondo giuridico, a tutela degli interessati, regola e permette che avvengano.

Ancora un’altra questione: come è possibile ridurre in pristino una situazione ingeneratasi per mezzo di uno smart contract nullo se detto smart contract, esauriti i propri effetti, smette di funzionare o, meglio, poiché non specificamente programmato, non consente la ritrattabilità di determinate prestazioni?

Valgano le considerazioni precedenti: anche in questo caso chi scrive ritiene che si manifestino i limiti del programma che incorpora il contenuto di un accordo tra le parti, nella misura in cui esso non dovesse prevedere la possibilità che le prestazioni vengano annullate. Quindi, perché tale annullamento avvenga, bisognerà attuare un nuovo smart contract, o conseguire i medesimi effetti in forma extra-smart contract.

In conclusione, si ritiene di potersi affermare che lo smart contract, se già in fase fisiologica era una parziale rappresentazione in forma di codice informatico della volontà delle parti, tanto più manifesta tale parzialità nella fase patologica della nullità. Ciò ovviamente, a parere di chi scrive, non può essere considerata che una sfida, sia per gli interpreti del diritto che per gli sviluppatori di smart contract: se è vero che una certa direzione è presa (la confidenza nell’automatismo), e che i contratti su blockchain sono già il presente per molte aziende e molti settori e sempre più entreranno nel vissuto quotidiano ad ogni livello di utenza, allora l’ordinamento dovrà trovare gli spazi e le forme più idonee a garantire che ogni possibile vicenda contrattuale abbia già una predeterminata soluzione attivabile dal (o nel) contratto stesso, e che tali soluzioni siano coerenti con quanto previsto dai principi di diritto inderogabili, i cui meccanismi applicativi “tradizionali” rimarranno comunque, va da sé, pienamente vigenti.

di Donato Silvano Lorusso, Nicolino Gentile e Iacopo De Totero