Borsa Italiana S.p.A. si dà nuove regole in materia di CSR

Lo scorso 9 luglio, il Comitato per la Corporate Governance di Borsa Italiana S.p.A. ha inserito nuove previsioni all’interno del Codice di Autodisciplina, volte a integrare quanto già presente in materia di corporate social responsability.

La nozione, di matrice statunitense, è da riferirsi agli aspetti etici legati all’esercizio dell’attività d’impresa, tali da ripercuotersi sul contesto sociale entro cui si agisce in punto di fiducia e crescita dell’investimento.

 

Le nuove regole, la cui adozione è prevista entro la fine dell’esercizio sociale 2016, impongono alle società emittenti di attuare meccanismi di prevenzione dei rischi, attraverso una distribuzione di deleghe omogenea tra l’organo gestorio e il comitato di vigilanza e controllo.

Tali meccanismi, chiaramente, devono svilupparsi a partire dal livello di rischio stimato (cd. risk appetite) nel medio-lungo periodo di attività dell’emittente, con riferimento a ogni settore e non più soltanto - come in passato - a quello finanziario.

La valutazione e il pedissequo monitoraggio del rischio spetterà al consiglio di amministrazione, chiamato a:

1) valutare il livello di rischio in termini di incidenza sull’attività dell’impresa e sulla sostenibilità della stessa;

2) vigilare sul corretto funzionamento dei comitati di internal audit deputati a controllare e gestire il rischio (così instaurando un controllo su due livelli o doppio controllo);

3) attivarsi per la prevenzione e la rimozione di attività lesive degli interessi della società e della correttezza informativa verso il pubblico risparmio.

 

Se ci si domanda il perché di questa integrazione, la risposta a detta maggiore ‘sensibilità’ si ricollega alla direttiva 2014/95/UE che l’Italia dovrà recepire entro il 2016. La fonte comunitaria estende, ad ampio spettro, una logica che era già propria dell’ordinamento inglese che, al paragrafo 172 del Companies Act, prevede che il consiglio di amministrazione delle quotate abbia l’obbligo di esercitare l’attività d’impresa nell’interesse non solo dei soci ma anche degli stakeholders. Conseguentemente, il legislatore comunitario ritiene essenziale prevenire i rischi legati alla tutela dell’ambiente, dei diritti umani e delle politiche sociali che non devono ritenersi secondari alla stabilità finanziaria dell’impresa.

 

Insomma, si tratta di una versione etica dell’impresa che, forse, non è altro che il preludio al cambio di rotta verso quelle che al momento sono solo tendenze neofite, note come “finanza etica”.